sabato 3 marzo 2012

LA VIRTÙ DELL’AMORE

“...La tua benignità m’ha fatto grande” (Salmo 18:35)

La benignità di Dio: che parola meravigliosa! Un termine che non sarebbe mai potuto sgorgare dalla bocca di un uomo. Ci sono tra noi molti dèi e signori: si tratta di divinità spietate e terribili. L’uomo non ha mai ideato un Dio benigno. Giove, ad esempio, è un lanciatore di saette. La concezione umana della divinità trova la propria espressione nel gigante, nel leone, nell’aquila, nel toro. Sono questi gli emblemi delle varie divinità: le loro voci sono tempeste furiose e mari burrascosi. Ma a noi Dio si è rivelato, e ora sappiamo che Egli è nostro Padre. Dio si manifesta come il piccolo fanciullo di Betlemme e come il nostro fratello maggiore, umile e benedetto. Ci chiama nella vergogna e nell’agonia della croce. Nonostante Egli sia onnipotente ed eterno, il Suo emblema è il soffio, la rugiada, l’agnello, la colomba: tutti simboli della gentilezza del nostro Dio. La benignità divina presenta molteplici aspetti. Essa è tradotta con i termini “accondiscendenza”, “bontà”, “pazienza” ... ma è molto più di questo, anche se alle volte è intesa come molto di meno. Quella che comunemente è considerata gentilezza può essere un miscuglio incolore di debolezza e di disinteresse, una tolleranza che amabilmente sorride a tutti e a tutto, perché è a buon mercato ed è meno onerosa di un impegno serio e coerente. È difficile pensare alla gentilezza in una natura intensa, nella quale il fuoco dell’indignazione brucia fieramente. Non comprendiamo come Egli possa amare con tenerezza, e fino alla morte. Come può una Persona del genere essere gentile? Come può dimostrare gentilezza nei confronti di coloro che, tanto preziosi ai Suoi occhi, si trovano nel pericolo costante di cadere nel peccato? Il loro peccato significa corruzione, rovina, morte, inferno! La benignità è possibile? È giusta? Se la nostra salvezza comportò l’agonia del Calvario, se dalle nostre azioni dipendono cose tanto vitali, quale posto c’è per la gentilezza? Profeti di fuoco come l’autorevole Elia e il tonante Battista, che incitano al ravvedimento, appaiono certamente più appropriati. Esercitare la benignità non potrebbe essere un errore? Essa può andare bene per i bambini, ma per uomini nei quali si vogliano sviluppare nobiltà e grandezza non sarebbero più adatti il rigore e una disciplina ferrea? Molti di noi, purtroppo, pensano e agiscono in questo modo, perdendo così ciò che soltanto la gentilezza può infondere per arricchire gli altri.