sabato 29 ottobre 2011

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Una Testimonianza da Far Tremare i Polsi

Sembra pazzia ma la realtà di questa testimonianza ci dice che la vita che Dio ci dona è preziosa, così come lo è quella spirituale.





"La lingua, il timone della nostra barca"


Preferisco dire cinque parole inerenti alla Bib­bia che cinquantamila di filosofie del mondo. 

H. Spurgeon 

È DA SCIOCCHI RIDERE SENZA MOTIVO

"Un cuore allegro è una buona medicina" (Proverbi 17.22)

"Per ogni cosa ce la sua stagione ce un tempo per ogni situazione sotto il cielo: ... un tempo per piangere e un tempo per ridere" (Ecclesiaste 3:1, 4)

Entrarono uno per volta e si sedettero sulle panche di fronte all'altare. Susuki Mitzko, una donna di quarantasei anni, diede inizio alla cerimonia con una risata coinvolgente, e tutti cominciarono a ridere, ridevano con forza, a crepapelle, sembravano molto felici. Si trattava della liturgia di una nuova setta di Tokyo, la "Taisokyo", secondo la quale le lacrime e la paura non possono avvicinarci a Dio, l'unica cosa che può farlo è la risata. E’ interessante vedere come nel mondo proliferino nuove sette e nuove religioni. C'è una brama nel cercare nuove dottrine perché l'anima di molti è vuota, perciò si gettano in qualun­que cosa pur di trovare una sorta di appagamento.
Gli adepti di questa setta giapponese credono che la risata sia il mezzo per avvicinarsi a Dio. Per loro, qualunque cosa tragica succeda nel mondo o nella vita, provoca una risata o per lo meno è il modo in cui reagiscono quando stanno insieme. Chissà se quando sono da soli, assaliti dai problemi, dall'afflizione, dalle pene della vita la risata riesca a rasserenarli?
Certo, la buona risata e il buon umore fanno bene, ma non è ridendo che ci liberiamo dalle angosce. Ridere senza motivo o per sfuggire ai mali della vita, è pura pazzia; infatti, non è ridendo o negando la realtà del dolore che lo sopprimiamo. Solo avvicinandoci a Dio con semplice fede troviamo la vera restaurazione, Egli ci dà la forza per vincere il male, e con Lui nel nostro cuore possiamo sopportare ogni dolore.

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"QUELLO CHE HO, TE LO DO"

"Dell'argento e dell'oro io non ne ho; ma quello che ho, te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!" Atti 3:6

Quando qualcuno mi racconta la sua sofferen­za, ciò che ho di meglio da dargli, come cre­dente, è che Gesù è morto ed è risuscitato per lui. Se voglio portare qualcosa a chi soffre, gli porto Gesù. Se sono vivo è grazie a Lui, e se oggi sono felice è perché Lui è la mia gioia. Cosa possiamo annunciare d'altro se non la vittoria di Gesù sul male, sulla sofferenza e sulla morte?
Facciamo attenzione che nel modulare la forma del messaggio dell'Evangelo non per­diamo di vista il suo contenuto. C'è o non c'è la "buona notizia"? Può darsi che non siamo più convinti che sia poi così buona. Per noi è anco­ra una novità la morte e la risurrezione del Signore Gesù? Oppure ne siamo assuefatti all'i­dea e ci siamo addormentati? Il messaggio che diamo può fare ancora oggi del bene, guarire le anime e dare la vita eterna? Oppure siamo caduti nel formalismo religioso, dove compia­mo solo dei riti che non hanno più nulla a che vedere con la fede e non hanno alcuna poten­za?
Forse non riusciremo a dire, come l'apostolo Pietro al paralitico: "Dell'argento e dell'oro io non ne ho; ma quello che ho, te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!". Ma possiamo certamente dire: Vieni a scoprire che sei da Lui amato fino nel profondo della tua sofferenza.
Il mondo in cui viviamo muore di sete e cerca ristoro nell'acqua di cisterne crepate che non può dissetare e in più rischia di essere avvele­nata. Se noi credenti non annunciamo più la speranza in Cristo, chi lo farà?

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