lunedì 30 aprile 2012

La mia testimonianza di Franco Di FLORIO




01/01/2008
Rivolgo questa mia, a tutti i giovani della Comunità.
"Il fine giustifica i mezzi!" (Machiavelli). Questo era il mio motto quando, da giovane studente, sessantottino convinto, lottavo contro l'ingiustizia sociale, a favore dell'eguaglianza ad ogni costo. Primo negli scioperi in classe, nelle cordate e nelle rimostranze ai professori, vivevo come uno spirito ribelle e contestatore, sempre a favore dei più deboli ed in lotta contro il potere forte.
Grazie al "talento" di cui Dio mi aveva dotato (allora pensavo fosse merito mio), qualche anno più tardi, avevo guadagnato una posizione di tutto prestigio come dirigente responsabile in una grossa azienda parastatale, mantenendo però sempre il mio spirito combattivo in favore degli operai che coinvolgevo attivamente nella gestione dell'azienda con apprezzabili risultati già a breve termine.
Il manager alternativo era nato e questi ero io! Sempre più convinto delle mie possibilità e delle mie capacità, uomo adulato ed onorato, realizzai e mi convinsi che il diritto alla proprietà di una casa, fosse cosa sacrosanta anche per chi viveva di puro stipendio.
Ecco il costruttore di case in cooperativa! Quasi cinquecento appartamenti costruiti in dieci anni. Orgoglio, gloria, potere, compiacimento, questi erano i sentimenti che nutrivo. Realizzai, in poco tempo, d'essere il centro dell'universo in cui tutto dipendeva da me, d'essere il più bravo, cui ogni metodo e mezzo era permesso pur di raggiungere gli scopi che assieme ai collaboratori mi ero prefisso.
Il maligno, con la sua subdola arguzia, era già entrato in me! Aveva, per poco prezzo, acquistato la mia anima, ma il piano che Dio aveva per me, era già iniziato. Alleluia!
Alla fine degli anni novanta, alle cinque di una mattina, davanti allo sgomento ed allo sconforto di mia moglie e dei miei figli, fui letteralmente prelevato dalla "Digos" e portato nella Casa Circondariale di Via Spalato a Udine, con l'accusa d'associazione per delinquere e concorso in truffa aggravata ai danni della Regione. Rimasi per tre mesi in carcerazione preventiva, periodo in cui si svolsero le indagini preliminari. Seguì il processo di primo grado con una condanna detentiva a sette anni confermata poi nel processo d'Appello. Fu il periodo più buio della mia vita.
Le mie vicissitudini personali e quelle dei miei collaboratori, comparivano ogni giorno, a grossi titoli, sui quotidiani. Ero senza lavoro, ma i miei figli, pur se "all'indice di tutti", mi erano sempre vicini, assieme ai pochissimi amici fedeli che ancora osavano pubblicamente palesarmi la loro amicizia.
Fu allora che compresi che "il fine non giustifica i mezzi"!
Miei carissimi, anche se lo scopo finale è lodevole, bisogna pur sempre rispettare le regole imposte dalla società in cui viviamo, perché questo fa parte dei "Principi d'Autorità" che Dio ha stabilito sulla terra, al pari di quelli della famiglia, del lavoro e della Comunità cui apparteniamo!
"La sapienza consiste nella scelta dei fini migliori e nell'uso dei mezzi più appropriati per raggiungerli (Watson). Questo era ora il mio nuovo motto.
La Corte di Cassazione "ridusse" la mia pena a cinque anni, derubricando la truffa nei confronti dei soci, come non avvenuta, avendo, gli stessi, beneficiato dell'assegnazione in proprietà dell'immobile. Si delineava così la possibilità della revisione del processo stesso, con ulteriore notevole riduzione della pena, ed il fatto d'essere incensurato avrebbe forse anche potuto evitarmi la carcerazione. I quotidiani di allora evidenziarono questo come una gran vittoria per me e per il mio team. Dio però non la pensava proprio così!. Voleva per Sé quel figlio scellerato ed indegno sì, ma amato all'inverosimile! Sia fatta sempre la Sua volontà! Grazie o Signore!
Il 26 febbraio 2002, alle ore 17, davanti all'ufficio dove lavoravo, fui inaspettatamente prelevato dalla "Digos" e condotto nelle carceri di Via Spalato per scontare in via definitiva la mia condanna a cinque anni. Stranamente, poiché fisicamente mi sentivo in perfetta salute, fui alloggiato in una cella dell'infermeria carceraria. Pensavo (allora), fosse stata un'idea del Magistrato, ma non era così! Fu un miracolo di Dio che aveva predisposto tutto per ritrovare questo figlio infame ed indegno!
Rimasi nella cella, disteso per tre giorni sulla branda, completamente vestito e senza toccare cibo. Qualche giorno più tardi, il mio compagno di disavventura, padovano d'origine, m'invitò a scendere con lui in una sala colloqui per presentarmi al Pastore della Chiesa Evangelica, (aveva compilato e firmato lui stesso, a mia insaputa, la domandina occorrente).
E' così che conobbi Malcolm, l'uomo che Dio aveva posto sulla mia strada!
Per prima cosa mi abbracciò, mi chiese se avessi un qualche bisogno personale e s'informò sulle condizioni della mia famiglia. Leggemmo, poi, qualche versetto della Bibbia ed uno in particolare colpì il mio cuore: "Fratelli, che dobbiamo fare?" E Pietro disse a loro: "Ravvedetevi e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo!" (Atti 2:37-38).
Tutto mi era avverso. Avevo perso parte della famiglia, molti dei miei amici, la dignità e la libertà, avevo in sostanza perso tutto! Ecco la risposta dell'uomo di Dio alla domanda. "Cosa faccio adesso?" "Ed io, Franco, cosa dovevo fare ora?". "Ravvediti, cambia il tuo cuore, nel nome di Gesù Cristo". Lui, il Re, il Figlio di Dio, fattosi uomo, povero tra i poveri, umile tra gli umili, bistrattato da tutti, è morto sulla croce per salvare me, figlio Suo, scellerato ed indegno.
Mi ritirai nella mia cella, e nel buio della notte pensai di recitare qualche preghiera. Era questa un'abitudine dell'infanzia che avevo abbandonato da molto tempo. M'inginocchiai davanti al letto, ma mi resi conto d'aver dimenticato le parole. Alzai gli occhi nel tentativo di rammentarle, quando, all'improvviso, m'invase l'animo una sensazione che non avevo mai provato prima. Era come se un essere infinito ed onnipotente, che tutto conosceva, mosso dal più profondo e tenero interesse per me, mi rivelasse la Sua pietà ed il Suo amore. I miei occhi nulla vedevano, né alcun segnale le mie orecchie percepivano, ma io avevo la piena certezza che "Colui che non conoscevo", mi si avvicinava, per la prima volta, teneramente, nella pienezza del Suo amore. Piansi a lungo e con lacrime cocenti. Quando riaprii gli occhi, mi sentii pervaso da qualcosa che non avevo mai sperimentato prima. La pace di Dio, che mi aveva trasformato in una notte, mi colmò. E' vero, la sofferenza, permessa da Dio, serve a formarci, anzi, a trasformarci.
Il giorno seguente, il mio primo pensiero fu quello di trovare una Bibbia. Mi fu portata da mio figlio al primo colloquio e da allora è diventata la mia lettura quotidiana.
Oggi, il mio motto, anzi, la mia vita, si riconosce nelle parole di Gesù: "Io sono la via, la verità e la vita" (Gv. 14:6).
Cari, che Gesù sia sempre presente nella vostra vita, poiché Lui solo è la verità e la via che porta alla salvezza ed alla pace.
Auguro a voi ed alle vostre famiglie un felice e prospero anno nuovo, e fraternamente mi dispongo.
Vs. Franco


QUANDO LE PROVE DIVENTANO VITTORIE


Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati. Romani 8:35, 37


Talvolta il Signore lascia che attraversiamo delle difficoltà perché ci rendiamo conto di quanto abbiamo bisogno di Lui. Incoraggiati e fortifica­ti dal suo amore, superiamo le prove con un
maggior apprezzamento della saggezza e della grazia di Dio, e siamo resi capaci di comprende­re e aiutare gli altri.
La mamma di una bambina con un handicap mentale ha scritto quanto segue: "Avremmo considerato l'handicap di nostra figlia la trage­dia più grande della nostra vita, se non fosse stato che, per mezzo di quella disgrazia, abbia­mo imparato a conoscere meglio il Signore. Non ci sono parole che possano esprimere la nostra disperazione quando ci siamo resi conto che la nostra bambina non si sviluppava nor­malmente. Ma questo ci ha fatto capire un poco ciò che deve provare il nostro caro Salvatore quando uno dei suoi figli non si sviluppa spiri­tualmente come lui vorrebbe. Il Signore sa che i nostri dispiaceri, se li accettiamo da parte sua e li viviamo con Lui, arricchiscono la nostra vita".
Quando sopraggiunge l'avversità, perché ribel­larci? Rammaricarsi della propria sorte, lamen­tarsi, amareggiarsi, impedirebbe il nostro svi­luppo spirituale. Al contrario, una fiduciosa sottomissione e una fede vivente nell'amore di Dio, stimoleranno la nostra crescita nella sua grazia. Se lasciamo che il Signore accresca le nostre capacità per mezzo del dolore, i pesi diventeranno delle benedizioni e le prove delle vittorie.

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lunedì 23 aprile 2012

SOLITUDINE


"Il Signore però mi ha assistito: si è tenuto vicino a me, e mi ha reso forte" (2 Timoteo 4 17)


  • Solo nel suo ufficio, con il capo chino sulla scrivania, un artigiano, sull'orlo del fallimento, verifica ad una ad una le sue fatture non ancora pagate e rifà i conti.
  • Vicino alla finestra del soggiorno, un'anziana vedo­va sta lavorando a maglia. Soltanto il vecchio orolo­gio a pendolo di famiglia viene a rompere il silen­zio. Ogni tanto il suo sguardo si volge verso la pol­trona ormai vuota di suo marito.
  • Solo in camera sua, alla vigilia di un importante esame, uno studente ripassa il programma dell'anno per l'ultima volta. Angosciato, si rende conto che domani sarà da solo davanti a un foglio bianco.

Solitudine... Angoscia... Fallimento... Lutto... Prove, sono parole che ognuno di noi conosce anche trop­po bene. Il Signore non ha mai garantito ai Suoi che sarebbero stati risparmiati da ogni difficoltà né dalle lacrime e dai dispiaceri della vita. Quello, che ha promesso loro, è la Sua compagnia mentre li avreb­bero attraversati. Mentre si trovava ancora a Corinto e aveva davanti a sé gravi problemi, l'apostolo Paolo udì il Signore dirgli: "Non temere, ma conti­nua a parlare e non tacere; perché Io sono con te" (Atti 18:9,10). Al momento in cui lo stesso servito­re di Dio termina la sua carriera a Roma, in quella specie di testamento spirituale che è la seconda let­tera a Timoteo, egli afferma: "Il Signore però mila assistito: si è tenuto vicino a me, e mi ha reso forte" (2 Timoteo 4:17).
Se la vita ti ha maltrattato, non dimenticare mai che Gesù ti ama. Attraverso le tue prove, ti cerca. Egli sa quanto hai bisogno della Sua compagnia. Se tu non senti la Sua compagnia chiedila oggi e l'avrai.

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sabato 21 aprile 2012

“ Mentre il mio cuore spasima”




Fu una sera triste a casa di Giovanni G. Warton, il nostro missionario a Bei­rut. Libano, quella nella quale lo specia­lista gli disse: « Non c'è nessuna spe­ranza. I vostri occhi non riavranno più la vista ».
Le parole dei medico non fecero che confermare i suoi timori. Già da un po' di tempo la sua salute andava indebolen­dosi. Da quando sua moglie era morta egli aveva tentato di fare da padre e da madre ai suoi bambini, di cui Roberto aveva sette anni, Giuseppe nove e Rut tredici. Avrebbe potuto togliere dalla scuola Rut parche attendesse alle faccen­de domestiche, ma si era rifiutato di far­lo e così aveva cucinato, aveva pulito la casa, aveva lavato ed aveva stirato da se, in aggiunta a tutti i suoi doveri di missionario.
Non avrebbe potuto prendere qualcuno perché facesse le faccende di casa? No. perché c'era la guerra ed i salari erano troppe alti. Era già tanto difficile compe­rare il cibo per la propria famiglia, anche senza dover pagare salari!
Ma lo sforzo era diventato troppo gran­de per il fratello Warton. Forti dolori alla schiena, gravi bronchiti con tosse e, infine, l'infiammazione agli occhi si erano succeduti in poco tempo. Ma questa ultima malattia lo fece soffrire molto: doveva usare gli occhiali neri e doveva cambiare con grande frequenza i tam­poni di ovatta che metteva agli occhi a causa della suppurazione. Dietro consi­glio degli amici, i quali temevano che perdesse la vista, il missionario accon­senti a farsi visitare da uno specialista. Ed ora aveva il suo verdetto. Il dottor Bagdasarion, specialista per le malattie degli occhi presso l'Università di Beirut, aveva diagnosticato trattarsi di ulcera agli occhi e aveva detto che forse non avrebbe mai più visto la luce del sole.
Dopo cena il fratello Warton raccolse i suoi bambini vicino al suo letto e disse : « Siate buoni, figlioli miei, e confidatevi nel Signore. Può darsi che papà resti cieco per sempre ».
Il piccolo Roberto abbracciò suo padre e lo supplicò di guarire «Non voglio che se ne vada più nessuno» disse il pic­cino già privo della mamma.
Il missionario chiese a Rut, la maggiore, di prendere la Bibbia e di leggere il Salmo 61.
« O Dio,ascolta il mio grido; attendi al­la mia orazione », essa cominciò, mentre il piccolo circolo si faceva silenzioso.
Con la sua dolce voce infantile continuò a leggere; « Io grido a Te dall'estremità della terra, mentre il mio cuore spasi­ma; conducimi sulla rocca che è troppo alta da salirvi da me »
Nell'udire nuovamente quelle preziose parole di promessa, il fratello Warton prese la sua decisione. Si, il suo cuore spasimava; egli avrebbe gridato a Dio. Dichiarò alla sua piccola famiglia che non avrebbe usato la medicina del dotto­re: « Se dovessi perdere la vista, continuerei la mia via cieco, confidandomi « nel Signore », egli disse.
I bambini cominciarono a pregare. « Vi assicuro che pregarono davvero », disse il padre recentemente, raccontando la sua. esperienza,erano disperati ». E quella notte riposò serenamente per la prima. volta da quando si era ammalato.
Venne la mattina e il primo pensie­ro del missionario al suo svegliarsi fu di cambiare i tamponi che aveva agli occhi. Strano, però, che il cotone fosse asciutto. La suppurazione non c'era più.
Una pena struggente lo attraversò: « Sono cieco », pensò.
Non osando aprire gli occhi, andò a ta­stoni fino allo specchio e guardò. Il ros­sore era scomparso! Vedeva una sedia! Vedeva il letto — l'intera stanza — ve­deva tutto! Gli era stata ridonata la vista!
Il fratello Warton sorrideva nel ricor­dare la gioia dei suoi piccoli. Essi gri­darono e ballarono quando si accorsero che il Signore aveva esaudito le loro pre­ghiere e aveva fatto sì che il loro papà vedesse nuovamente.
Quando il missionario si recò dallo spe­cialista il pomeriggio di quello stesso giorno, mise gli occhiali neri per ripara re gli occhi dal sole, ma appena, entra­to nello studio, se li tolse per mostrare quello che Iddio aveva fatto.
Senza dubbio è stato operato un mi­racolo sui vostri occhi », disse il dottore armeno, potete gridarlo dovunque ad alta, voce ».
Ed è ciò che il fratello Warton sta fa­cendo con grande gioia.
MARIA HONDEHICII.
Tratto da Risveglio Pentecostale N° 3 del 1947

venerdì 20 aprile 2012

giovedì 19 aprile 2012

CHI SONO?


(Gesù disse:) "A chi vince io darò... un nome nuovo che nessuno cono­sce, se non colui che lo riceve". Apocalisse 2:17

"Io sono il SIGNORE, il tuo Dio... Perché tu sei prezioso ai miei occhi, sei stimato e io ti amo".
Isaia 43:3, 4




"Nessuno conosce il mio nome!" Questa frase è il titolo di un best seller americano. Non ci stu­pisce che abbia riscosso un grande successo! Chi non ha mai sperimentato in qualche momento della vita la solitudine e il senso di anonimato? La sensazione di essere incompresi è molto comune, e forse anche noi qualche volta ci siamo chiesti: "Ma in fondo, chi sono?"
La Bibbia ci parla di un nome che "nessuno conosce, se non colui che lo riceve". Questo nome sarà dato come ricompensa ai credenti vincitori che scopriranno la loro vera identità. Essi conosceranno come sono stati conosciuti da Dio stesso. Si renderanno conto dell'opera che Egli ha compiuto in loro per renderli "con­formi all'immagine del Figlio suo", e compren­deranno il perché di tante prove quando ne contempleranno i gloriosi risultati.
Fin da ora, il Signore desidera comunicare coi suoi che sono ancora sulla terra. Vuole farmi conoscere chi sono. Certo, una creatura fragile, ma anche una persona unica per Lui, che Egli ama personalmente e per l'eternità. Più gusto il suo amore, più scompare il senso di solitudine. Proseguendo nella vita, realizzo meglio la mia nuova identità in Cristo e riconosco che per lui ho un grande valore. Egli "mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Galati 2:20) e desidera avermi con sé per sempre (Giovanni 17:24). Vivendo in comunione con Lui, posso seguirlo passo passo, guardando a Lui e cercando di pia­cergli.

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lunedì 16 aprile 2012

COSÌ QUAL SONO


 (Gesù disse:) "Venite a me, voi tutti che siete affatica­ti e oppressi, e io vi darò riposo".
Matteo 11:28

Dopo trent'anni di vita più che spensierata, Charlotte Elliot (1789-1871) si ammalò grave­mente. Si convertì in seguito a una conversazio­ne con l'evangelista Cesare Malan che le aveva detto: "Vada a Gesù, semplicemente, così com'è". Malata e costretta a letto nell'ultima parte della sua vita, viveva a casa di un fratello.
Un giorno del 1834, mentre si sentiva inutile e si affliggeva di essere un peso per la sua famiglia, si ricordò di come il Signore l'aveva accolta. Allora scrisse una poesia che in seguito fu messa in musica e tradotta in parecchie lingue. Suo fratello disse un giorno: "Durante il mio lungo ministero di pastore questo semplice cantico ha portato più frutto di tutti i miei numerosi sermoni".

Così qual sono, pien di peccato,
ma per il sangue che tu hai versato  
e per l'invito fatto al cuor mio,
Agnel dí Dio, ío vengo a Te!

Così qual sono, triste e abbattuto,
pieno di dubbi dentro di me,
ansioso e oppresso, col cuore vuoto,
Agnel dí Dío, io vengo a Te!

Così qual sono tu mi vedesti
e i miei peccati su te prendesti.
Sì, tu moristi per amor mio.
Agnel di Dio, io vengo a Te!

Così qual sono m'accoglierai
e i miei peccati cancellerai;
alla tua grazia s'apre il mio cuore.
Agnel di Dio, io vengo a Te!

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sabato 14 aprile 2012

Gesù ha pregato anche per té ....



Giovanni 17:20 Non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola:


La forza che viene dal sapere che già duemila anni fa Gesù ha pregato per noi cristiani di oggi, è la forza che ci spinge ad andare avanti con la certezza della fede.

mercoledì 11 aprile 2012

GENITORI E FIGLI


Tu concepirai e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù... Colui che nascerà sarà chiamato Santo, Figlio di Dio. Luca 1:31, 35

Poi (Gesù) discese con loro (i suoi genitori), andò a Nazaret, e stava loro sottomesso... E Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e agli uomini. Luca 2:51, 52


La crescita e lo sviluppo del bambino Gesù era un motivo di continuo stupore per í suol geni­tori, Maria e Giuseppe. "Il bambino cresceva e si fortificava; era pieno di sapienza e la grazia di Dio era su dí lui... e stava loro sottomesso" (Luca 2:40, 51). Spesso i suoi genitori non com­prendevano ciò che Gesù diceva, ma è scritto che sua madre "serbava nel suo cuore" tutte quelle cose e le meditava con gioia. Anche oggi possiamo contemplare con ammirazione, mediante la lettura dei Vangeli, Colui che, "nato di donna", era "Dio manifestato in carne", in tutta la perfezione della sua natura, senza ombra di peccato, "senza difetto né macchia".
Che differenza coi nostri figli, così simili a noi! La loro natura mostra ben presto le caratteristi­che del peccato che è già in loro, nonostante la bellezza e la freschezza accattivante dell'infan­zia. I genitori cristiani possono trovare stimolo e incoraggiamento pensando all'infanzia di Gesù. Egli ha voluto iniziare il suo cammino sulla terra proprio come un uomo, ma in Lui abitava "tutta la pienezza della deità" (Colosse­si 2:9). E non è venuto per condannare i pecca­tori quali noi tutti siamo, ma è arrivato fino a morire su una croce per salvarci, per cancellare i nostri peccati e darci la sua propria vita.
Una delle meraviglie della sua grazia è che, se nessuno è in grado di imitare la sua vita perfet­ta, Egli ha ora aperto un cammino in cui ognu­no è chiamato a seguirlo, fin dall'infanzia.
La Parola dí Dio dice ai nostri figli: "Ubbidite nel Signore ai vostri genitori". Essa li pone in quella che è stata la posizione di Gesù da bambino. Che privilegio per i genitori di allevarli nel­l'amore e nel timore del Signore (Tito 2:14; Efe­sini 6:1, 4)! Cosa dicono a noi genitori i versetti del giorno che ci parlano di lui?
1. Cresceva in sapienza. Nessuno può salvare l'anima del proprio figlio. Tuttavia il compito dei genitori è di comunicare ai propri figli gli insegnamenti della Bibbia che possono preser­varli dal male e condurli alla salvezza (2 Timo­teo 3:15).
2. Cresceva in statura. I genitori cristiani devono allevare i loro figli in modo sano ed equilibrato, curando i loro eventuali disturbi con dedizione e saggezza; ma anche per i loro problemi di salute devono chiedere l'aiuto di Dio e confida­re in Lui.
3. Cresceva in grazia davanti a Dio e agli uomi­ni. I figli devono sapere che Dio vede tutto e sa tutto, e devono imparare a piacere a Lui, sapen­do di essere da Lui amati. Devono imparare a ubbidire ai genitori, a rispettare le autorità, a comportarsi nei confronti degli altri con since­rità, dolcezza e umiltà.
Genitori cristiani, il compito è difficile, anzi impossibile senza l'aiuto di Dio. Ma "Dio è fede­le" (1 Corinzi 10:14). Senza sfuggire alle vostre responsabilità, guardate con fiducia a "Colui che può, mediante la potenza che opera in noi, fare infinitamente di più di quel che domandia­mo o pensiamo" (Efesini 3:20).

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lunedì 9 aprile 2012

Il ciliegio del perdono


LA NOSTRA CASA NEL CIELO


Ho il desiderio di partire e di essere con Cristo, perché è molto meglio. Filippesi 1:23

Sappiamo infatti che se questa tenda che è la nostra dimora terrena viene disfatta, abbiamo da Dio un edificio, una casa non fatta da mano d'uomo, eterna, nei cieli. 2 Corinzi 5:1


Il Signore Gesù ha detto che verrà a prendere i credenti, ed essi desiderano e aspettano la sua venuta. La Bibbia ci parla del cielo e di coloro che vi abitano, in modo da farci familiarizzare con il luogo in cui entreremo.
Una persona che sta per cambiare paese si informa sul nuovo paese e su ciò che vi si trova: costumi, lingua, natura, abitanti... Noí stiamo per arrivare in cielo. La Bibbia ci parla della casa del Padre (Giovanni 14:2) dove per chi ha fede è preparato un luogo, dimora del Padre e del Figlio, luogo di perenne felicità. Abbiamo la cer­tezza che vi saremo con Gesù, resi simili a Lui. Tutto questo è incomprensibile per la nostra intelligenza limitata, ma la fede cí dà la certezza che il Signore manterrà la promessa. Egli desi­dera averci accanto a sé; che prospettiva! Nel­l'attesa "gemiamo... aspettando... la redenzio­ne del nostro corpo" (Romani 8:23) quando, con la risurrezione, ciò che è mortale sarà "assorbi­to dalla vita" (2 Corinzi 5:4).
Cristiani, quale interesse abbiamo per la lettura della Bibbia che già ci rivela le benedizioni cele­sti? Viviamo in un mondo che passa (1 Giovan­ni 2:17). Aspettiamo noi il momento di vedere il Signore?
Se moriremo prima che Egli venga, raggiunge­remo la nostra vera patria, la nostra casa nel cielo. L'apostolo Paolo sí rallegrava al pensiero di "partire" da questo mondo. Per lui la morte era un guadagno ma, nell'attesa, si impegnava con zelo a piacere a Dio.

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sabato 7 aprile 2012

IL VERO GUADAGNO


O Dio, tu sei il mio Dio, io ti cerco dall'alba... Così ti ho contemplato nel santuario, per veder la tua forza e la tua gloria. Salmo 63:1, 2

Un giorno nei tuoi cortili vale più che mille altrove. Salmo 84:10


Prima della conversione, l'apostolo Paolo gode­va di molti privilegi. Giudeo osservante, si distingueva per il suo zelo religioso; "quanto alla giustizia che è nella legge" era irreprensibile (Filippesí 3:6). Aveva ricevuto una buona istruzione, alla scuola di un famoso maestro. Ma l'incontro con Gesù Cristo produsse il capo­volgimento della sua scala dei valori.
"Ciò che per me era un guadagno - egli dice -l'ho considerato come un danno, a causa di Cri­sto. Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno dí fronte all'eccellenza della cono­scenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine dí guadagnare Cristo e di essere trovato in lui non con una giu­stizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che sí ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede. Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione delle sue soffe­renze, divenendo conforme a lui nella sua morte, per giungere in qualche modo alla risur­rezione dei morti. Non che io abbia ottenuto già tutto questo o sia già arrivato alla perfezione; ma proseguo il cammino per cercare di afferra­re ciò per cui sono anche stato afferrato da Cri­sto Gesù. Fratelli, io non ritengo di averlo già afferrato; ma una cosa faccio: dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno davanti, corro verso la mèta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù" (Filippesi 3:7-14).

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venerdì 6 aprile 2012

CHIESA ADI CONEGLIANO: LA SOLITUDINE

CHIESA ADI CONEGLIANO: LA SOLITUDINE:  QUANDO  SENTI COME UN VUOTO INTORNO A TE,  QUANDO LA SOLITUDINE TI AFFERRA, QUANDO GRIDI A TUTTI, “DIO DOV’E’”…. QUANDO TI SENTI ABBANDON...

AL DI SOPRA DI NOI


Dio è potente, ma non respinge nessuno; è poten­te per la forza della sua intelligenza.
Giobbe 36:5

Egli ci ha amati per primo. 1 Giovanni 4:19


Anche se siamo meravigliati dal genio umano, dalla sua scienza e le sue scoperte, dobbiamo riconoscere che l'uomo ha un potere molto
limitato. Dio, invece, possiede una potenza infi­nita, e niente e nessuno può intralciare i suoi piani né impedirgli di compiere i suoi disegni.
Il mondo fisico è regolato dalle leggi naturali. Ma dietro ad esse possiamo discernerne l'auto­re: Dio, il progettista e il grande costruttore. L'uomo non è altro che una creatura, Lui è il Creatore. Tutto è sottoposto al suo controllo. Tutto si svolge secondo il suo scopo eterno.
Infinitamente al di sopra di noi, Egli è onni­sciente e onnipotente. Nessun problema, nes­suna difficoltà possono sorprenderlo o supera­re la sua sapienza. Dio è santo e non può sop­portare il peccato. Ed è anche fedele, per cui le profezie e le promesse della sua Parola si com­piono sicuramente. Poiché è giusto, il suo giudi­zio colpirà coloro che compiono l'ingiustizia, ma, poiché è anche amore, ha dato il suo Unico Figlio, Gesù Cristo, "affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna" (Giovanni 3:16).
Dio è un Padre pieno di bontà e di misericordia per tutti i credenti, e "tutte le cose cooperano al bene di quelli che lo amano" (Romani 8:28).

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domenica 1 aprile 2012

DARE AL SIGNORE


Diversi anni fa, due credenti di condizione agiata, l'uno avvocato e l'altro negoziante, si congiunsero ad una compagnia di persone amiche che stava per intraprendere un viaggio di piacere in paesi lontani. Prima di partire, gli anziani della Chiesa dove quei credenti erano in comunione, li pregarono di fare delle note del loro viaggio, onde avere così un ricordo di tutte quelle cose interessanti ch'essi avrebbero potuto vedere o sentire, specialmente nei paesi in cui avrebbero trovato dei missionari. Il che promisero di fare.
Un giorno, giunti in un paese della Corea, essi videro un ragazzo che tirava da sè un aratro molto rustico in un campo accanto alla strada, mentre un vecchio, di dietro, teneva l'aratro e lo guidava. L'avvocato ne fu interessato e ne prese una fotografia istantanea.
Questo è di certo un quadro curioso! Si può supporre che essi siano molto poveri, disse egli al missionario di quella località che faceva loro da guida e da interprete.
"Sì - replicò con serietà - quella è la famiglia di "Chi Noni". Quando venne edificata la sala delle adunanze, essi avevano un forte desiderio di dare qualche cosa per contribuire a questa spesa, ma la famiglia era senza mezzi, e che fecero dunque? Essi vendettero il loro solo bue e ne diedero il danaro per la sala. Perciò, da questa primavera essi tirano l'aratro da loro stessi".
L'avvocato ed il negoziante rimasero silenziosi per qualche momento. Poi, il nego­ziante disse: "Quello dev'essere stato un vero sacrificio!". "Essi non l'hanno chiamato così, disse il missionario, anzi pensarono che era una fortuna di possedere un bue che potevano vendere per quello scopo".
L'avvocato ed il negoziante non poterono dire gran cosa in risposta; ma quando furono di ritorno a casa, l'avvocato portò quella foto­grafia agli anziani e raccontò loro la storia.
"Io, diss'egli, voglio raddoppiare la mia offerta speciale per la sala! E, per piacere, mi diano qualche lavoro duro da fare. Io non ho veramente mai conosciuto che cosa sia il far sacrifici per l'opera di Dio. Un pagano con­vertito me l'ha insegnato. Ho vergogna di dire che non ho mai dato alcuna cosa all'Opera di Dio che fosse realmente un sacrificio per me".
Possiamo ora domandare: Quanto fa la maggioranza dei cristiani nella via del sacrificio per aiutare, per dare incremento all'avanza­mento dell'Evangelo nel mondo?
Quanti ve ne sono di quelli che si chiamano cristiani, che non hanno mai fatto, per l'Opera di Dio, qualche sforzo speciale che equivalga a quanto fece la famiglia convertita a Cristo dal Paganesimo, e di cui si parla nel fatto testè esposto!
(Trad. di A. B.)

Tratto da Cristiani Oggi Ottobre 1986

CHIEDERE E RICEVERE Giovanni 15:1-11

      

1 «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiuolo. 2 Ogni tralcio che in me non dà frutto, lo toglie via; e ogni tralcio che dà frutto, lo pota affinché ne dia di più. 3 Voi siete già puri a causa della parola che vi ho annunziata. 4 Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dar frutto se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me. 5 Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete far nulla. 6 Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio, e si secca; questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano. 7 Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto. 8 In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto, così sarete miei discepoli. 9 Come il Padre mi ha amato, così anch'io ho amato voi; dimorate nel mio amore. 10 Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore; come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e dimoro nel suo amore. 11 Vi ho detto queste cose, affinché la mia gioia dimori in voi e la vostra gioia sia completa.

      Gesù rivolge queste parole consolanti ai discepoli in occasione dell’ultima cena, Egli nell’arco dei tre anni di ministero terreno aveva dato tanti insegnamenti e tutti uno più importanti dell’altro, ma ora ad un passo della croce, sapendo che il tempo era poco ed anche cruciale, decide di dire ai discepoli qualcosa che completa in pieno gli insegnamenti che fino ad ora erano stati loro impartiti. I capitoli 14-15 e 16 sono da considerare il testamento spirituale di Gesù  verso i discepoli e verso la chiesa. Sono tante le verità che potremmo tirare fuori da essi, ma quello su cui ci soffermeremo è il chiedere e il ricevere. Gesù per più di una volta esorta i discepoli a prendere atto che ora è giunto il momento di mettere in pratica i suoi insegnamenti, i tempi sono maturi, Egli sta per dare la sua vita ed essere innalzato in gloria, lo S. Santo è già in azione e sta per giungere. È giunto il momento di “chiedere e ricevere”. Il chiedere e ricevere è qualcosa di molto importante e che come chiesa non dobbiamo trascurare, tutto ciò che Gesù ci dice e ci ordina non è da trascurare, ma questo che Gesù ci dice nei versetti letti è di vitale importanza per la chiesa, in quanto un credente che chiede e riceve dimostra tangibilmente che le parole di Gesù sono veritiere. Tre versi in particolare ci evidenziano che il chiedere e ricevere  dimostrano al mondo qualcosa:

1)      CHE DIMORIAMO IN LUI
     Gesù afferma “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiuolo”. Gesù è la vite e poi afferma che noi siamo i tralci, quei tralci che devono portare molto frutto. I tralci sono parte integrante della vite, in quanto traggono forza e linfa vitale proprio dalla pianta e la conseguenza di essere un tutt’uno con la pianta è data che al momento giusto porta molto frutto. Al v. 7 ci viene detto “Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto”, quindi se Dio ci esaudisce questo dimostra che stiamo dimorando in Lui come il tralcio dimora nella vite. Dobbiamo imparare a chiedere al Signore ed aspettarci l’esaudimento perche stiamo dimorando in Lui. domandiamoci con vero interesse cosa non va quando chiediamo a Dio e non riceviamo, ma ancora di più preoccupiamoci quando non sentiamo più la necessità di chiedere al nostro Signore. Il nostro Signore vuole essere glorificato “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto, così sarete miei discepoli”, quindi permettergli, tramite la nostra fede, di operare, vuol dire permettere a Dio di manifestare la sua Gloria e quindi di essere glorificato.


2)      CHE C’È VERO AMORE
      Sempre nel capitolo 15 di Giovanni, c’è ancora un punto che ci parla di chiedere e ricevere “Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi, e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; affinché tutto quello che chiederete al Padre, nel mio nome, egli ve lo dia” Giovanni 15:16.
In questo versetto parla ancora di portare frutto, frutto permanente affinché tutto quello che domandiamo Lui ce lo conceda. Il frutto in questo caso non è il chiedere e ricevere, ma l’adempiere il comandamento di Gesù  Giovanni 15:12 “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi”. Giovanni 15:17 “Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri”. L’effettivo adempimento del comando di Gesù, ci apre le porte per domandare e ricevere. È importante capire questo passaggio, in quanto Dio vuole esaudire le nostre richieste a patto che in noi si trovi il suo amore, ma altresì, l’adempimento delle nostre richieste può voler dire soltanto che ci stiamo amando dell’amore del Signore, ma ancor di più che ci stiamo nutrendo del suo amore.

3)      CHE GESU’ E’ IL VIVENTE
Ancora un versetto che parla di chiedere e ricevere si trova al cap. 16:23 “In quel giorno non mi rivolgerete alcuna domanda. In verità, in verità vi dico che qualsiasi cosa domanderete al Padre nel mio nome, egli ve la darà”. Il contesto del verso ci parla di Gesù che parla di se stesso in virtù dell’ora fatidica della sua morte e resurrezione, infatti tutto si adempiuto puntualmente. Gesù viene arrestato, processato, svergato ed in ultimo viene messo in croce dove vi muore, ma la prigionia della morte non lo ha potuto trattenere e quindi abbiamo la sua resurrezione. Quando dice “In quel giorno non mi rivolgerete alcuna domanda”, sta parlando del giorno della sua resurrezione, e come dice Gesù ogni domanda è superflua ma ogni richiesta però è ben accetta e sarà esaudita. Ricordiamoci, ogni qual volta chiediamo qualcosa a Gesù e poi ci viene esaudita, non stiamo facendo altro che rammemorare al mondo incredulo, che è vero che Gesù un lontano giorno è salito sulla croce, ma che è altrettanto vero che le sbarre della morte non l’hanno potuto trattenere, e che quindi Gesù è il vivente ed è alla destra del Padre.

CONCLUSIONE   
“In quel giorno chiederete nel mio nome; e non vi dico che io pregherò il Padre per voi; poiché il Padre stesso vi ama, perché mi avete amato e avete creduto che sono proceduto da Dio” Giovanni 16:26-27.
Assodato l’importanza del chiedere, ma ancor di più del ricevere, è importante comprendere la facilità del chiedere, perché il nostro Dio  non è un uomo che ha di bisogno una montagna di carta con tanti bolli sopra, Lui vuole solo un cuore puro, purificato col suo sangue, e dopodiché aspettiamoci la sua positiva risposta, solo allora la nostra gioia sarà completa e capiremo che veramente il Padre ci ama “poiché il Padre stesso vi ama, perché mi avete amato e avete creduto che sono proceduto da Dio” Giovanni 16:27.

A Dio sia la gloria

                                                             ACETO GIACOMO

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